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LA STORIA DEI QUARTIERI

Alla fine degli anni 50, più precisamente nel 1958 quando Montalcino e il suo territorio erano ancora interessati da una massiccia emigrazione verso i centri abitati maggiori, alcuni giovani dettero inizio a quella Sagra del Tordo di cui pochi anni fa abbiamo festeggiato il 50°
La manifestazione venne appoggiata anche dall' Amministrazione Comunale; si leggeva nella locandina che promuoveva la manifestazione: 'Festa popolare storico-gastronomica. La manifestazione sarà allietata da cori e danze del tradizionale folklore toscano' . Aveva lo scopo di far passare una giornata in allegria e richiamare un po' di turismo in un ' area fuori dalle grandi vie di comunicazione, dove gli unici lavori erano la mezzadria e il taglio della legna da ardere.
Qualche anno dopo, nel 1960, vennero formati i Quartieri che presero i nomi di Borghetto, Pianello, Ruga e Travaglio richiamandosi a toponimi storici che si trovavano in vecchie bolle o in libri antichi o tramandati oralmente. Il nome al Pianello, come si legge nell' art. 1 dello Statuto o Libro dei Capitoli del Quartiere, è compreso integralmente in quello che fu il terziere di S.Angelo in Castelvecchio, come si ritrova anche in una Lira del 1453 recante la dicitura 'in contrada Pianello nel terziere di S.Angelo in Castelvecchio ' . Tale toponimo venne dato senza dubbio perché l' attuale Via Moglio è una strada completamente pianeggiante nella parte bassa di Montalcino, è appunto come si dice in toscano, un 'pianello' .

IL QUARTIERE E MONTALCINO

L' importanza dei Quartieri nella vita di Montalcino è sancita da tutti, tanto che l' Amministrazione Comunale, riconoscendone l' importanza del peso e ruolo, ha ritenuto inserirli nello Statuto Comunale approvato con atto deliberativo n. 32 del 1 giugno 2000 dove all' art. 54 si legge:
''1. I Quartieri Borghetto, Pianello, Ruga e Travaglio sono riconosciuti di diritto a tutti gli effetti enti storici del Comune di Montalcino perché centri promozionali di aggregazione e di cultura depositari di molte tradizioni montalcinesi da valorizzare e salvaguardare. Per i Quartieri viene nominata un' apposita consulta regolata dal relativo regolamento.
2. L' amministrazione Comunale darà ai quartieri per lo svolgimento delle loro molteplici attività ogni appoggio morale, materiale e finanziario entro i limiti delle sue disponibilità e secondo le modalità o criteri previsti dai vari regolamenti '.

A GIRO PER IL PIANELLO

Il turista che scende nella piazza Cavour, un tempo Piazza dello Spedale, si trova di fronte un grande edificio sede del Comune di Montalcino. L' edificio cinquecentesco, più volte manomesso nei secoli, un tempo era sede dell' ospedale S. Maria della Croce.
Al suo interno, oltre alla bella biblioteca comunale ricca di una notevole quantità di libri, incunaboli, manoscritti, vi è lo 'Scrittoio dell' ospedale' , un luogo, dove venivano conservati privilegi e libri per conto dell' ospedale, ma dove si compivano anche atti pubblici; un insieme di studio e scrittoi; da qui l' appellativo di 'Scrittoio dello spedale' .
Lo scrittoio è una stanza di pochi metri quadrati deliziosamente affrescata nei primi del' 500 da Vincenzo Tamagni proveniente da S. Gimignano e allievo del Sodoma.
Gli affreschi riportano grandi nomi del passato quali Scipione, Cicerone, Giuditta, Lucrezia, Giosuè, Davide, oltre ad una Madonna con Bambino e Santi. Sullo sfondo di un episodio non ben identificato con due signori ben vestiti dei quali uno con un arco in mano ed una signora in ginocchio, si vedono le Fonti Castellane con dietro la Città di Montalcino.
Scendendo lungo la 'Piaggia delle Monache, per andare a visitare il Chiostro dell ' Ospedale non ci si può rendere conto di quanto antichi siano i luoghi che sta percorrendo e di quanto interesse possono essere quei personaggi che silenziosamente danno il nome a quelle piccole strade. Nomi letti distrattamente, tra la sorpresa ammirazione di uno scorcio panoramico sulla Val d ' Arbia e la soddisfatta riflessione sul buon bicchiere di vino appena bevuto.
Via Lapini, la Piaggia delle Monache, ricorda un insigne umanista, Pietro di Bernardo di Lapino, archiatra pontificio di Giovanni XXIII, l' antipapa Baldassarre Cossa deposto dal Concilio di Costanza. Fu uno dei più famosi dottori in medicina del suo tempo ed esperto anche in Giurisprudenza (nel 1415 collaborò alla stesura degli Statuti di Montalcino) lasciò molte opere importanti anche in questa disciplina. Commentatore del Petrarca, morì il 16 giugno 1449 e venne seppellito a Siena, nella Chiesa di S. Francesco.
Suo figlio Bernardo, nato a Siena nel 1443, anche lui poeta, medico e filosofo oltre che commentatore dei 'Trionfi' del Petrarca, amava farsi chiamare 'L' ILCINO' in omaggio al padre montalcinesi.
Non si fa in tempo a ricordare il nome dei Lapini che subito, svoltando a destra in fondo alla discesa, ci si trova una piccola strada che conserva il ricordo di una delle più illustri famiglie montalcinesi: i Padelletti.
Una lapide ricorda i nomi di due illustri professori, Guido e Dino, ai quali è intitolata la via, figli di Pier Francesco, Ministro di Giustizia nella Toscana dei Lorena alla fine del' 700 il cui fratello, il Canonico Domenico, resse l' Università di Pisa dopo aver molto viaggiato per compiere ricerche su Giovanni Evangelista. Guido e Dino insegnarono rispettivamente Diritto Romano all' Università di Pisa e Meccanica Razionale all' Università di Napoli.
Tuttavia, per i montalcinesi di oggi, soprattutto per quelli un po' più anziani, è sicuramente 'il Sor Carlo' il Padelletti più noto e più affettuosamente ricordato.
Figlio di Guido fu anch' egli uomo di studi (laurea in Medicina, Legge e Scienze Politiche) ma soprattutto fu un vero figlio dei tempi nuovo.
Con il molino, la fornace, la segheria a vapore, la produzione di radiche da pipa e di manici d' ombrello destinati all' Inghilterra, la luce elettrica quando ancora a Firenze c ' era l' illuminazione a gas, la stamperia 'La Stella' e l' Araldo, primo giornale locale, fece di Montalcino una città veramente moderna e già proiettata verso l' Europa. A Parigi, difatti, vinse la medaglia d' oro alla Mostra Universale dei Vini. Era l' anno 1900.
Percorsa Via Padelletti ci troviamo nel cuore del quartiere Pianello, nel cuore, soprattutto, delle sue memorie.
Si può scegliere se percorrere Via Moglio o salire la Costa dello ' Ospedale per andare al Prato di S. Francesco oppure scendere verso Porta Castellana ed uscire sugli orti della collina.
La via si snoda pigramente allungata sulla collina sovrastando gli orti delle Fonti Castellane siamo nella contrada di Castelvecchio che fu edificata dai romani nel piano di detta Città, allora terra. Ha fonti, colli, edifici vari ed un POGGETTO DI NOBILE VEDUTA PER TUTTE LE SUE PARTI nel quale era situata la Chiesa di San Marco e certo Ospizio spettante ai Monaci Benedettini di Sant ' Antimo in valle di Starcia ''
Saliamo la Costa dell ' Ospedale e ci troviamo su questo poggetto dove prima erano ubicate le Chiese di S. Marco e S. Michele Arcangelo (da qui il nome del Terzo di S. Angelo in Castelvecchio ' 1361) e dove oggi si trova la Chiesa di S. Francesco , l ' Ospedale e la Chiesa della Confraternita della Misericordia. A seguito della venuta a Montalcino di San Francesco nel 1218 e dietro richiesta degli abitanti, l ' Abate Sirico donò  al Padre S. Francesco e suoi beati compagni il possesso della Chiesa di S. Marco ed annesso ospizio in perpetua eredità ai di lui religiosi  . Per difficoltà economiche del Cappellano, nel 1285 venne donata ai frati anche la Chiesa di San Michele per cui si convenne di demolirle entrambe e di costruirne una più grande 'ove la moltitudine dei popoli che quivi concorrevano potesse comodamente starvi ad adempiere la loro devozione' . L ' edificazione della Chiesa di S. Francesco iniziò dunque nel 1287 e nel 1334 doveva essere ancora terminata. A fianco della Chiesa, trasformata da successivi e radicali interventi fra il 1788 e il 1795 che la trasformarono totalmente all' interno e all' esterno, sorgeva il Convento 'fabbricato nella Piazza di Castelvecchio' al quale apparteneva l ? elegante Chiostro cosiddetto dell' Ospedale.
Il turista che abbiamo visto scendere dalla Piaggia delle Monache sta ormai per entrare nel Chiostro dove potrà godersi le arcate eleganti e i severi travertini.
La Chiesa di S, Francesco da anni chiusa al culto, raccoglie al suo interno grandi opere d' arte nelle Cappelle di S. Pietro e della Madonna. La Cappella di S. Pietro, venne fatta dipingere dall' Ospedale al pittore 'Vincenzo da S. Gemignano' (ancora il Tamagni) e vi si legge la gran parte della vita di S. Pietro, cioè la scoperta di Simon Mago e la sua caduta, la chiamata di Cristo fatta a S. Pietro sopra le acque, l' incontro che fece S. Pietro a Roma del nostro Signore Gesù Cristo con la croce in spalla, 'Domine quo vadis' Sulla volta sono dipinti i quattro Evangelisti, mediati da alcuni serafini e altri lavori molto belli. Nell' arco vi sono dipinte Santa Elisabetta regina d' Ungheria, Santa Lucia Vergine e martire, Santa Margherita, Sant' Orsola, santa Caterina ecc.
Di gran bellezza è lo Sposalizio di Maria Vergine con S. Giuseppe, la Nascita della Vergine con sotto San Niccolò da Barie di S. Caterina delle Ruote; tali dipinti sono nella terza cappella fatta edificare da Niccolò Posi. All' interno delle cappelle vi è un bel museo dei ferri e degli strumenti chirurgici dei secoli scorsi.
La Chiesa ha un bel coro ligneo oltre a alcune tele in cattive condizioni di Ventura Salimbeni.
Tutta la Chiesa è purtroppo in stato di abbandono.
Ritornando sul Prato dell' Ospedale, il nostro turista potrà, prima di riscendere la Costa dell' Ospedale, gettare lo sguardo su Montalcino dove si slancia la Torre Civica e il campanile della Chiesa di S. Agostino.
Dall' incrocio diamo un sguardo anche al Pianello, solo per vedere che il vero nome di questa strada è un altro: Via Moglio.
Un ' altra famiglia storica ? Non una famiglia, ma un uomo storico:Frà Giovanni Moglio da Montalcino. Non si sa la data della sua nascita ma si sa che era un fine oratore e che nel 1531 predicava a Brescia.
Negli anni seguenti lo troviamo a Milano, Pavia e Bologna dove, vincendo una pubblica disputa con Cornelio, professore di metafisica di quella Università, si guadagnò l' accusa di eresia che lo portò ad un primo processo nel quale fu ammonito a non esporre le Lettere di S. Paolo. Ovviamente Frà Giovanni da Montalcino si guardò bene dall' obbedire e così, lasciata Bologna, se ne andò a Napoli presso il Convento di S. Lorenzo come lettore e predicatore.
Inaspritisi i contrasti religiosi con la convocazione del Concilio di Trento, Frà Moglio, che pur tante volte era riuscito ad eludere la giustizia della Chiesa, venne arrestato a Ravenna il 21 marzo 1553 e, condotto a Roma, fu condannato ad essere impiccato e bruciato in Campo dè Fiori.
Andando avanti per la Via Moglio ci troviamo su uno slargo che è la Piazzetta S. Pietro con la Chiesa omonima i cui lavori di ristrutturazione, grazie al nostro Quartiere, sono stati terminati con l ' inaugurazione del 26 settembre 2009.
Tornando a ritroso, scendiamo per Via Castellana. Lungo la discesa, fra piccole case e orti, fino a Porta Castellana restaurata negli anni ' 50 è ora già mezza interrata, giriamo a destra nel Piazzale dei macelli o delle fonti. Le Fonti Castellane in stile gotico - romanico hanno bisogno di un restauro profondo.
Di fronte e sino alla Piazzetta di S. Lucia, tutte quelle casette erano la zona industriale di Montalcino tra l ' otto e il novecento. L ' Impresa Padelletti ' Zumpt prima ricordata aveva qui una quindicina di attività diverse che occupavano circa 300 operai: fornaci per laterizi, molino, cereria, oltre alle attività poco prima ricordate, ma più singolare di tutto una centrale elettrica che sfruttava la caduta delle acque di un fosso,dove erano state incanalate la maggior parte delle acque della rete fognaria dell ' abitato soprastante. La rete di distribuzione dell' energia alimentava gli opifici e illuminava tutte le principali vie del centro, dandoci l' orgoglio di essere stati, come già detto, uno dei primi centri della Toscana a disporre di corrente elettrica.
Risaliamo la piaggia del ' Molino ' giriamo a destra in Via Santa Lucia, (la bottega del fabbro è un locale dove fino al 1786 ha avuto sede la Chiesa della Santa), a sinistra la Minuta e a destra Via del Mistero.
Risalendo la piaggia di Via S. Lucia, incrocerà ancora Via Moglio e rifiutandosi di fare tutte le scale omonime che portano per i ' didietro ' una strada di servizio, il nostro turista continuerà per Via Moglio da dove potrà nuovamente ammirare il 'Poggetto d Castelvecchio' e salendo per il Piaggione sarà già in un altro Quartiere per conoscere un' altra storia. Ma saprà mai le poche cose che abbiamo raccontato ?


LE FONTI CASTELLANE

Del territorio del Pianello, si sa tutto o quasi tutto: delle Chiese, del Convento di S. Francesco, dell ' Ospedale, ma poco si parla delle Fonti Castellane che sono nel suo territorio
Le ' Fonti Castellane ' ubicate nella parte bassa di Montalcino, in prossimità di '' Porta di Fontebuia o Castellana '' , sono un elemento di grande valore storico che costituiva, assieme ad altri depositi di acqua, un sistema per l ' approvvigionamento idrico della popolazione.
Le Fonti Castellane, inserite nel circuito murario dell' abitato hanno lo schema classico delle fonti del quattrocento.
Come erano realmente le Fonti Castellane è testimoniato in un affresco del Tamagni del' 500 che si trova nello scrittoio dello Spedale di S. Maria della Croce, dove si vedono le due arcate con accanto, (dove è attualmente l' ex moderno lavatoio oggi ristrutturato a garage) l' abbeveratoio per animali con il lavatoio.
L' acqua delle fonti, oltre all' uso potabile, era anche utilizzata per la tintura con due vasche ubicate probabilmente più a valle.
Una nota curiosa si trova nello stato d' anime di S. Lucia del 1778, dove Bonaventura Laffrichi, ultimo di sei figli del tintore Paolo, viene denunciato dal Gonfaloniere al Vicario perché ' intorba con le tinte del panni l' acque della fonti detta troscio grande, ove si lavano i panni bianchi delle lavandaie, cosicché oltre al macchiarsi, vengono ancora corrosi dai vetrioli di dette tinte ...'
Da bambini, durante le sere d' estate, quando le macchine erano una rarità e le prime televisioni solo nei bar, riuniti nelle strade alla luce fioca di qualche lampadina, mentre le donne filavano la lana o lavoravano a maglia, i più anziani ci raccontavano dei lupi mannari a cui erano cresciuti lunghi peli e unghie,che andavano, accompagnati da un lugubre ululato, a bagnarsi nelle fredde acque delle fonti e ritornavano persone normali.
Oggi le Fonti Castellane sono state recuperate, le piccole teste in pietra rimaste, sono state nuovamente collocate, l ' infiltrazione delle acque piovane e il peso della terra, che stavano arrecando gravi danni alla volta è stata totalmente rimossa, mentre è stata ristrutturata tutta la fodera in pietra e il cornicione in travertino.
Dopo il bel recupero, che ha ridato a tutta la comunità un monumento di valore storico inestimabile, attende di essere valorizzata a apprezzato.

 
 Le Fonti castellane prima e dopo i lavori di restauro (2008)


LA CHIESA DI S. PIETRO
L'ACQUISTO E I LAVORI

Il compromesso di acquisto di tutto il complesso della Chiesa di S. Pietro fra il Presidente del Quartiere Pianello e l'Arcidiocesi avvenne il 1 ottobre 1999, ma venne preteso e chiaramente scritto nell'art. 9 che ''La parte acquirente potrà quindi provvedere, di sua iniziativa ed a sue spese, consapevole dell'esistenza dei vincoli di cui all'art. 6 e quindi anche del rischio dell'esercizio del diritto di prelazione da parte dello Stato, a realizzare lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria''
Il Consiglio, conscio del passo fatto, intraprese la strada per la ristrutturazione di tutto il fabbricato, decidendo di procedere per stralci in funzione delle parti più ammalorate, pericolanti e pertanto pericolose per un uso pubblico del bene.
Venne così individuato, come primo intervento, la parte della sagrestia e del locale soprastante sede storica del Quartiere Pianello.
Presentata la richiesta al Comune, l'atto autorizzativo all'esecuzione dei lavori, dopo il parere favorevole della Soprintendenza, venne rilasciato a nome di Franceschelli don Guido con atto n. 2007 del 19 marzo 2001. In data 2 aprile 2001, il Parroco autorizzò il Quartiere Pianello ad effettuare i lavori previsti in conformità dell'atto autorizzativo rilasciato.
Il contratto, causa le lungaggini burocratiche venne firmato solo il 9 febbraio 2002

NOTIZIE STORICHE ''CHIESA DI PIETRO''

Un incendio nell'archivio della Chiesa di S. Agostino nel 1444 distrusse gran parte della documentazione di Montalcino: cartapecore, fascicoli, manoscritti duecenteschi andarono irrimediabilmente e per sempre persi e con essi bruciò gran parte della storia.
Probabilmente, proprio per questo motivo, non si hanno molte notizie sulla costruzione di S. Pietro e i lavori che negli anni si sono succeduti, si possono oggi solo ipotizzare.
La chiesa di S. Pietro Apostolo, situata nel cuore del quartiere, fu la sede della compagnia laicale omonima attiva già alla fine del secolo XIII.(vedi argomento specifico)
Si ha notizia della ''Compagnia dei Disciplinati'' che nel 1368 sotto il titolo di S. Pietro si riuniva presso la Cappella della Santissima Annunziata presso la Chiesa di S. Francesco che successivamente diverrà proprietaria della chiesa.
E' ben evidente la sopraelevazione subita forse proprio ad opera della compagnia di S. Pietro che qui tenne la propria sede fino alla sua soppressione che avvenne con decreto granducale e non più ricostituita.
La completa trasformazione, con la ristrutturazione interna, pare sia stata eseguita nel XVII secolo, in quanto si ha notizia certa che verso la metà del 1600, erano in corso lavori per portare a termine l'altare maggiore in marmo; anche i due altari laterali in gesso sono senz'altro dello stesso periodo.
Proprio sull'altare maggiore, senz'altro l'elemento più pregiato di tutta la chiesa, è opportuno soffermarsi. Dal fondo archivistico (Patrimonio Resti 3153), risulta che venne realizzato fra il 1645 e il 1648 dagli scalpellini Francesco Costantini da Siena e Lorenzo Tozzi, probabilmente di Montalcino. A quanto risulta dalla registrazione di pagamento, tra i due è il senese che ha la maggiore responsabilità nel lavoro; al Tozzi spettano la parte alta dell'architrave e la cimase.
E' fatto prevalentemente di alabastro di Castelnuovo dell'Abate e dai documenti risulta che Costantini fu pagato dalla compagnia di S. Pietro per recarsi a Firenze a scegliere marmi bianchi provenienti da Carrara ed altre pietre.
Di un sobrio e moderato gusto barocco, l'altare presenta uno slancio verticale, sottolineato dalle due alte colonne, ed è cimato da un frontone spezzato in cui inserita un'edicola decorata con un inserto in stucco, come i due angeli appoggiati al frontone. E' pregevole per l'impiego di varie qualità di marmi, fra cui il famoso alabastro di Castelnuovo dell'Abate.
Originale appare la bicromia marrone-bianca della parte alta, dovuta forse ad una verniciatura del marmo.
Per come la vediamo oggi, la chiesa, fu restaurata nella seconda metà del Settecento e riconsacrata da mons. Giuseppe Pecci nel 1781. L'11 dicembre 1785, a seguito della soppressione della compagnia e della decisione di abbandonare la chiesa di S. Lorenzo vi fu trasferito il titolo parrocchiale di questa, rimastovi fino a oggi.

LA COMPAGNIA DI SAN PIETRO IN MONTALCINO NEL TARDO MEDIOEVO

Sulle compagnie disciplinanti e flagellanti che prendono le mosse dai rinnovati sentimenti penitenziali, sorte un po' dovunque nel 1300, i fondi archivistici rilevano parecchi documenti che provano come a Montalcino se ne siano costituite due nel corso del Trecento: la Compagnia di San Pietro e la Compagnia di Santa Croce. Entrambe possedettero solidi patrimoni economici a garanzia delle loro attività di assistenza e mutuo soccorso, derivati da estese proprietà terriere, beni immobili fuori e dentro la città, in modo particolare come frutto della larga presa sugli strati sociali più disparati.
Le due compagnie di disciplinati divengono importanti centri di associazionismo a scopi religiosi e penitenti, ricevono parecchi ''fratelli'' e si danno delle strutture interne ben precise.
I primi Capitoli della Compagnia di San Pietro, conservati all' Archivio di Stato di Siena nel fondo ''Patrimonio Resti Ecclesiastici e Compagnie'' , risalgono al 1330: essi sono un documento importante per conoscere la struttura interna e le attività che la contraddistinsero nel campo dell ? associazionismo laico.
Non appena costituita ebbe problemi di stanziamento. I fratelli parteciparono da subito alla costruzione e all' ampliamento della Chiesa di San Francesco nella parte che riguardava la Cappella della SS.ma Annunziata, in seguito occuparono la Chiesa di San Pietro.
L' espansione considerevole delle proprietà e i larghi proventi che ne seppe trarre, oltre che la ricchezza dei testamenti degli associati e di altri benefattori, la resero di grande importanza nel Trecento e tanto potente che nel 1363 costruì un' altra chiesa nei dintorni di Montalcino, in quelle terre che essa governava che dai documenti appare come la chiesa di Santa Maria delle Grazie.La Compagnia di San Pietro è un sodalizio di disciplinati animati da un forte spirito di carità devozione.Essa rimase in vita per molti secoli senza interruzione fino a che il 1° maggio 1785 fu soppressa per decreto del Granduca Pietro Leopoldo di Toscana insieme agli altri sodalizi della città.
I Capitoli del 1330 fanno pensare che essa sia sorta nei primi decenni del XIV secolo ma che si sia data una vera e propria organizzazione soltanto con gli Statuti del 1330.Le norme trascritte in questo primo Statuto ebbero una lunga validità tanto che fino al 1450 non troviamo altre leggi che le sostituiscono se non quelle del 1332 che costituiscono un chiarimento e un completamento di quelle del 1330.Ogni anno tuttavia dovevano essere riapprovate.
Compilati dal Priore e dai componenti il Consiglio, tali ordinamenti, prima di entrare in vigore, dovevano ottenere il parere favorevole della maggioranza dei due terzi dei fratelli presenti.
L' Ufficio, riunione durante la quale il Priore si occupava di tutti gli affari della Compagnia, compresa la considerazione delle mancanze commesse dai fratelli ai quali venivano assegnate le pene ritenute più giuste, era costituito, nel 1330, da un Priore, un Camerlengo e un consigliere, successivamente da quattro membri e fu aggiunto un Procuratore. Nel 1370 troviamo anche il Massaro, tre o quattro addetti alla raccolta delle elemosine e un consigliere aggiunto, oltre a tre correttori degli ordini e a due fratelli con la carica di revisori dei conti del Camerlengo.
L' Ufficio, che si riuniva ogni venerdì e ogni domenica, durava in carica due mesi ma le elezioni si svolgevano ogni sei mesi, quando venivano nominati tutti coloro che avrebbero ricoperto le cariche nei tre bimestri successivi.
La direzione, la responsabilità morale e l' esercizio del potere di condanna dei confratelli che non hanno rispettato le regole, spetta al priore eletto da tutti gli iscritti e non nominato dall'autorità ecclesiastica, segno questo del carattere nettamente laico della loro religiosità. Il Priore ammonisce, corregge, punisce e se del caso espelle; cura l'osservanza degli Statuti, presiede le riunioni, regola la disciplina, le processioni e ogni aspetto della vita dell' associazione.
Accanto troviamo il Vicario che coadiuva il Priore nell' espletamento del suo compito e lo sostituisce quando questi si assenta da Montalcino.
All' amministrazione provvedeva il camerlengo che riceveva le quote sociali, le offerte e la pecunia derivante dalle pene inflitte. Il suo compito era anche la salvaguardia dei beni della Compagnia. Allo scadere del mandato, doveva sottostare alla revisione dei conti; se questi non tornavano era sottoposto ad una serie di multe e, se non aveva denaro per pagare, doveva disciplinarsi per tutto il tempo che durava la recita di 25 Pater e 25 Ave Marie.
Il Procuratore custodiva i beni mobili della Compagnia: le cappe, i cordoni, i calici, le tovaglie, raccoglieva le offerte delle candele e quelle fatte durante la messa che dovevano servire esclusivamente per pagare il prete che andava ad officiare nella loro chiesa. Custodiva anche un libro molto importante dove erano trascritti i testamenti e elencati i lasciti e l'inventario di tutti i possedimenti.
Al Massaro invece erano affidati, fra le altre cose mobili, sedici testamenti e alcuni privilegi fra cui quello rilasciato dall'Abate di Sant' Antimo, Arcolano, che consentiva ai fratelli di accostarsi al sacramento della comunione nella sede della Compagnia nonché l'atto di riconoscimento ufficiale della Confraternita redatto a Siena in Consiglio Generale nel 1365.
Altri fratelli avevano il compito di vendere, alienare, dare in elemosina il frutto dei lasciti; essi avevano piena libertà su tutti i possedimenti della Compagnia.
Le eventuali mancanze erano punite con pene pecuniarie e con l'obbligo di andare disciplinandosi per tutte le chiese di Montalcino.
Anche il Consiglio aveva potere deliberativo e si riuniva ogni qual volta se ne presentava l'occasione per discutere dei vari problemi di organizzazione e di amministrazione, dalla correzione degli ordinamenti, all' ammissione di nuovi fratelli, dalla distribuzione dei beni alle persone indigenti a tutto ciò che riguardava il bilancio, i testamenti, i lasciti, i contratti d' affitto e di vendita dei beni; nei casi più gravi si prendevano anche decisioni circa i provvedimenti disciplinari nei confronti di qualche fratello della Compagnia.
Gli Statuti della Compagnia di San Pietro contengono anche delle indicazioni e delle regole per i fratelli della Fraternità della SS.ma Annunziata della quale facevano parte tutti quelli della Compagnia stessa di cui la Fraternita era una derivazione.
Quando questa ebbe origine e perché dipendesse dalla Compagnia non lo possiamo sapere a causa delle scarse notizie che dai documenti della Compagnia appaiono a questo proposito. Tuttavia sappiamo che essa aveva la propria sede nella Cappella della SS.ma Annunziata in San Francesco . Questa formava la crociera della Chiesa. Principiata ad edificare nel luogo in cui sorgeva anticamente la chiesa di San Michele Arcangelo, invocato come protettore della Città e in modo particolare del Terzo di Montalcino dove nel 1297 si fabbricava la chiesa grande. Nel 1368 la costruzione fu seguitata da alcuni fratelli della Compagnia di San Pietro e di altre e specialmente da un certo Nuccio di Menchino che dotò la cappella dell' altare dove la Compagnia doveva far celebrare in sua memoria alcune messe. Per questo motivo lasciò gran parte dei suoi beni alla Compagnia. Nei tempi passati, per quanto detto, si è creduto che la Fraternità e la Compagnia fossero lo stesso sodalizio anche perché vi troviamo poi associate le medesime persone. Questo aveva fatto dedurre che la Compagnia non avesse una sede propria fino a che non entrò in possesso della chiesa di San Pietro, ma che si riunisse nella Cappella della SS.ma Annunziata dove invece officiava la Fraternità stessa.
Negli statuti troviamo specificato l'ammontare della somma da pagare all'Arciprete (probabilmente quello della Chiesa di San Lorenzo che troviamo rammentato più volte nei documenti) per l'affitto dei locali adibiti proprio a tale uso. Ma si parla anche di una chiesa propria della Compagnia, ben distinta dalla Cappella della SS.ma Annunziata. Il fatto poi che si sia scelto come protettore San Pietro ci induce a credere che fin dal suo sorgere la Compagnia svolgesse le sue pratiche religiose proprio in quell ? antica chiesetta che si trovava nel terzo di Sant'Angelo in Castelvecchio e che nei documenti riguardanti la storia di Montalcino troviamo nominata come San Pietro in Greta. Se si accetta questa ipotesi ci si spiega anche perché per celebrarvi le messe e impartirvi il sacramento della Comunione occorresse la licenza dell' Abate di Sant'Antimo, sotto la cui giurisdizione era quella chiesa insieme a molte altre, e a cui si doveva pagare un determinato censo. Inoltre, mentre molte confraternite si stabilirono presso i conventi, accadeva anche che tante altre preferirono rimanere indipendenti e volendo avere una sede propria raccolsero presto i fondi necessari per acquistare una casa, per costruire un oratorio dove praticare i loro esercizi di preghiera e di disciplina, un locale come centro amministrativo e talvolta un ospizio per pellegrini e poveri ammalati. Il Vescovo esercitava il suo controllo attraverso un proprio delegato chiamato visitatore.
Il Papa e l'Abate di Sant'Antimo concessero numerose indulgenze alla Compagnia, alcune delle quali erano specifiche per la Fraternità della SS.ma Annunziata. Nel 1398 anche il Papa Bonifacio IX, come l'Abate di Sant'Antimo, concesse la licenza della confessione e della comunione nella chiesa della Compagnia per due volte l' anno.
Diveniva confratello colui il quale, attraverso una votazione segreta in seguito ad informazioni assunte, era stato giudicato dal Consiglio persona devota e di sani principi morali; veniva quindi sottoposto al pagamento di una tassa di 5 soldi, all'offerta di un cero di una libbra del valore di 27 soldi, all'obbligo della confessione e della comunione e all' acquisto della veste composta da una cappa formata da un umile sacco con uno strappo sulla schiena per la pratica della flagellazione, legata in vita da una corda e munita di cappuccio, da una corda e dalla disciplina. Un confratello doveva garantire per lui, sia dal punto di vista spirituale che economico. La cerimonia d'investitura era solenne e contemplava anche la pratica della disciplina.
L' ingresso nella Compagnia non era limitato soltanto agli abitanti di Montalcino ma dal 1356 veniva accettata nel sodalizio anche la gente delle terre vicin e coloro i quali non avevano compiuto venticinque anniOgni mese ciascun confratello doveva versare una quota sociale pari a sei denari; tale somma, come constatiamo dal libro delle entrate, va a diminuire in certi periodi fino ad arrivare ad un soldo.
L' elenco dei soci era scritto su una tavoletta affissa nella casa della Compagnia.
Negli Statuti non si fa alcun cenno all' affiliazione delle donne. Tuttavia da documenti posteriori si sa che venivano ricevute come ''comisse '' , che portavano nella Compagnia i loro beni mobili e immobili che alla loro morte rimanevano al sodalizio. Non esistono altri documenti che ne testimonino la partecipazione alla vita attiva della Confraternita e alle pratiche religiose. In alcun sodalizio si accenna alla partecipazione delle donne alla pratica spettacolare della flagellazione. Anche dopo il 1260-61, quando le confraternite si furono meglio organizzate, le donne rimasero escluse sia dalle associazioni che dalle adunanze degli uomini, benché potessero assistere come spettatrici alle flagellazioni pubbliche.
L' esclusione era giustificata non soltanto dal pudore che impediva loro di svestirsi per la flagellazione in presenza altrui ma anche e soprattutto dall'usanza di rifiutare ogni loro partecipazione attiva alla vita pubblica e di conseguenza anche alle sedute di qualsiasi associazione. Le spose dei membri della Confraternita erano considerate tuttavia come aventi diritto ai beni spirituali dell'associazione cioè alle preghiere e alle azioni meritorie, ai suffragi per i vivi e per i defunti ed al funerale alla presenza di tutti i membri della confraternita convocati per la circostanza.
I disciplinati si riunivano solo per la recita delle preghiere e per le altre manifestazioni di culto penitenziale e di carità; per altro, in quanto laici, essi vivevano la loro vita familiare e professionale.
Gli obblighi ai quali erano sottoposti riguardavano non solo le pratiche religiose ma davano delle norme di comportamento da tenere sempre presenti per non incombere in gravi penitenze o essere cacciati dal sodalizio.
Il più importante era l'obbligo dell'obbedienza sia al Priore sia agli ordini emanati.
Seguiva quello di accostarsi ai sacramenti: alla confessione in pubblico una volta al mese, alla comunione per lo meno due volte l' anno. Molti erano i trasgressori, a giudicare dalle lunghe liste di fratelli che venivano cacciati per essere stati troppo a lungo lontani dal sacramento della confessione.
Anche la presenza nella chiesa della Compagnia era obbligatoria ogni mattina per la celebrazione della messa, come la recita delle preghiere in vari momenti della giornata e il recarsi in processione la prima domenica di quaresima e il venerdì santo e andare ad ascoltare la messa in San Francesco una volta alla settimana. Si doveva entrare in chiesa sempre prima che suonasse la campana.
Uno degli scopi della Compagnia era quello di accompagnare i fratelli defunti alla sepoltura , pertanto anche la presenza alle cerimonie funebri era obbligatoria.
Quando un confratello moriva veniva vestito con la veste della confraternita: in suffragio di quell' anima si recitavano 100 Pater Noster e 100 Ave Maria e ci si disciplinava una volta al mese mentre venivano fatte celebrare 25 messe consecutive dai frati di Sant'Agostino.
Un altro obbligo a cui si doveva sottostare era quello del silenzio; alle riunioni si poteva parlare solo se interpellati dal Priore. Inoltre tutti erano tenuti a mantenere il segreto su tutti i fatti della Compagnia con persone che fossero estranee al sodalizio: in modo particolare l' ordine si riferiva alle decisioni prese dal Priore e riguardanti le penitenze imposte per le trasgressioni commesse non tanto in riferimento agli impegni assunti al momento dell' ingresso nella Compagnia quanto alle aperte violazioni di quel costume di vita che la partecipazione ad una confraternita imponeva: infatti vediamo vietati tutti i giochi d' azzardo come la zara, i dadi, la druzzola, le tavole, l' andare alla taverna, il giuramento, i balli, la lussuria, i canti disonesti, l' usura, le fazioni, le armi, la frequentazione di altri luoghi disonesti e la compagnia di persone malfamate, l' esprimersi con parole ingiuriose, raccontare storie e fatti immorali, fare tardi la notte : tutto ciò allontanava l' uomo dalle aspirazioni spirituali per avvicinarlo ai piaceri materiali e l' osservanza delle norme comportamentali veniva sempre raccomandata durante le riunioni del Consiglio.
Anche fra di loro i fratelli dovevano comportarsi con il massimo rispetto, senza parlar male l' uno dell' altro, senza chiamarsi con altro nome che non fosse quello di battesimo.
La massima cura era dovuta a tutte le cose per cui erano severamente puniti coloro che arrecavano danno alle proprietà altrui.La mancanza di rispetto per le donne era grave motivo di allontanamento: chi aveva picchiato o maltrattato o tradito la propria donna non era degno di rimanere.Il sentimento di fratellanza che costituisce uno dei lati più importanti del cristianesimo che si deve ammirare nelle confraternite medievali non doveva essere ristretto a poche persone conosciute ma doveva comprendere tutti, anche gli avversari. L' odio e il recare offesa erano considerate gravi mancanze, tanto che due dei confratelli erano incaricati di riconciliare gli avversari quando si accendevano delle zuffe.
Il sentimento di fratellanza si esplicava nelle varie forme di assistenza verso i consoci per le loro necessità spirituali, morali e temporali. A questo si congiungeva quello intimamente religioso di operare il bene per raggiungere la salvezza eterna, sia per amore di Dio che per paura della sua vendetta .
Il comandamento della carità appare sempre presente nelle regole assunte dai disciplinati, strettamente legato al precetto evangelico secondo il quale l' amore di Dio non raggiunge mai la completezza se non è affiancato all' amore per il prossimo
All' assistenza reciproca tra confratelli si unisce così la beneficenza verso gli estranei al sodalizio. Venivano quindi elargiti continuamente aiuti in denaro a bisognosi, per Pasqua si distribuiva il pane fatto dalle madri e dalle mogli dei confratelli e altre volte legna da ardere. I prodotti e i soldi che si davano in elemosina si ricavavano dai possedimenti della Compagnia posti intorno alla collina e nella città stessa Si aiutavano i frati di San Francesco a sopperire alle loro necessità e ai bisogni della chiesa e si donava il corredo alle giovani provenienti dalle famiglie più povere.
L' opera di beneficenza si estendeva anche agli abitanti dei paesi vicini.
L' importanza sociale delle confraternite è evidente: esse accoglievano, affratellandoli insieme fedeli dei ceti più diversi. Furono così mezzo efficace di ''pacificazione sociale'' perché il profondo legame che li univa non poteva spezzarsi tutto ad un tratto varcata la soglia della cappella allorché rientravano nella vita pubblica.
In massima parte furono formate da soli laici. Ma esistono anche esempi come il nostro di compagnie miste: laici e uomini di chiesa che tuttavia non potevano avere incarichi importanti nella organizzazione del sodalizio. Il nuovo modello di vita cristiana non è più inteso come fuga dal mondo secondo gli schemi monastico- clericali ma come impegno comunitario e mutuo, fraterno aiuto nell' imitazione di Cristo che è appunto penitenza e reciproco amore. Su questa base si inseriscono le secondarie manifestazioni penitenziali e devozionali.
Così nella Compagnia troviamo riunite genti di varia levatura sociale: dai notai agli artigiani, dai piccoli possidenti ai mercanti e ai contadini, oltre a tanta povera gente.
Scorrendo gli elenchi dei confratelli abbiamo potuto ricavare indicazioni circa il mestiere da loro esercitato: sono notai in gran parte, poi lanaioli, tessitori, setaioli, sarti, calzettai, cuoiai, spadai, sellai, medici ( fra cui un certo Corrado Dilfet), barbieri, falegnami, muratori, mugnai, fabbri, carnaioli, mercanti, corbellai, pizzicagnoli, bottegai , fanti, scrittori, maestri .
Alcuni dei fratelli notai ebbero una parte di primo piano nella storia montalcinese di quel periodo assumendo incarichi di grande importanza. Ser Griffo di ser Paolo ad esempio, nominato Sindaco della Comunità ebbe il grande merito di aver riconciliato Siena e Montalcino favorendo l' affiliazione del 1360 e la Repubblica, in segno di gratitudine per le fatiche e l' impegno profusi in tal senso, gli concesse il privilegio di essere esente in perpetuo dagli aggravi personali e reali tanto in Siena come in Montalcino. Altri come ser Filippo di ser Silvestro , come ser Tavena di ser Martino, ser Francesco di ser Cenni, ser Cenni di Dota e ser Pietro di Giovanni Cecchini ebbero importanti incarichi nei rapporti fra Montalcino, Siena e le città vicine.
Non esisteva in Montalcino un' associazione che riunisse gli artigiani e pertanto, molti di loro entrarono a far parte della Compagnia di San Pietro, fra cui Maestro Jacopo, capo dell' Arte della Lana e Filippo di Ciardello che possedeva una fabbrica dove venivano colorate le pelli.
Tutti insieme comunque prestavano la loro opera per i lavori da fare nella casa e nella chiesa della Compagnia o nella Cappella della SS.ma Annunziata.
Altri fratelli erano mugnai presso i due mulini, quello detto ''delle liti'' e quello ''del Fiore'' .
Della Compagnia faceva parte anche un buon numero di frati minori che avevano il titolo di ''ospedalieri'' cioè rettori dei vari spedaletti della città. A differenza dei preti i frati minori potevano anche assurgere alle cariche della confraternita. In alcuni periodi tuttavia troviamo in cima all' elenco dei fratelli, l' Abate di Sant ' Antimo e il suo vicario, ammessi direi ad honorem per ottenere privilegi ed indulgenze.
Tutto il resto dei confratelli era dedito ai lavori della campagna, o nei poderi della Compagnia o di altri, dedicandosi anche all' allevamento di alcuni capi di bestiame.
Diversi fratelli provenivano da fuori: da città come Bologna, Siena, Orvieto e dai vicini borghi di San Quirico. Monticchiello, Bibbiano.
Mentre nel 1331 si contano 33 soci, nel 1371 sono già 63 e nel 1449, 79, segno che la Compagnia andava acquistando maggiore importanza nella vita cittadina annoverando nelle sue file un numero sempre crescente di soci i quali trovavano in essa una sicurezza materiale e spirituale di fronte a tutti i problemi dell' esistenza e coprendo certe falle che l' organizzazione comunale lasciava aperte nel campo dell' assistenza.
Nel 1348 la Compagnia entra in possesso di alcuni terreni posti nella campagna di Montalcino e appartenuti a Luca di Segna il quale lascia una vigna, altra terra con il colombaio nella contrada dei Ripaioli, con il divieto di vendita e con l' obbligo di dare l' usufrutto ai poveri.
A questo che appare come il primo testamento a favore della Compagnia, ne seguirono altri simili e donazioni di beni, come scritto negli inventari dei beni del 1353 e del 1385 che riportano più di 17 testamenti fra le carte della Compagnia. Dagli altri inventari e memorie del 1400 e del 1418 i possedimenti risultano aumentati e nell' anno 1427, fra le carte della Compagnia , si leggono i confini della proprietà.
L' allargamento dei beni, dovuto alla pietà, al profondo spirito di carità, al desiderio di essere accompagnati alla sepoltura oltre a quello delle preghiere e dei suffragi, determinato dalla paura dell' al di là dei fratelli e anche dei non fratelli, consentiva alle compagnie di far fronte alle necessità di mantenimento degli spedali e delle opere pie al di là delle elemosine e degli altri proventi derivanti dalle quote sociali o dalle pene inflitte; la crescita delle difficoltà di operare per il bene di tutti, indusse le compagnie ad accettare queste donazioni, fino addirittura a consigliare e prescrivere ai fratelli di ricordarle nel proprio testamento.
I possedimenti della Compagnia di San Pietro, escluso quelli che si trovavano dentro la cinta muraria del paese, erano quasi tutti situati ai piedi della collina di Montalcino, nei territori a Nord- Ovest di essa, lungo il corso del torrente Suga.
Oltre al podere di Luca di Segna, da considerarsi uno dei lasciti più estesi e redditizi, la Compagnia possedette nel corso degli anni il podere della Montanina, posto in Val di Suga, vicino all' oratorio della Madonna del Piano.
Nella stessa zona era proprietaria di un pezzo di terra e di una vigna che erano appartenute a Domenico di Marco di Luca.
In Val di Suga sappiamo che era situato l' oratorio della Madonna del Piano, formato da una chiesetta e da un podere attiguo che veniva dato in affitto. Quando e come la Compagnia sia entrata in possesso di questo bene non lo sappiamo.
La vigna posta nella contrada del Bucino fu invece ereditata da ser Paolo di Mino notaio e confratello.
I campi del Perignano erano appartenuti a Senese di Giunta e alla moglie mentre un altro appezzamento era stato ereditato da Filippo di Ciardello; accanto a questo la Compagnia possedeva un altro grande pezzo di terra e un prato.
Anche la terra della villa di Frassina dava buoni frutti che dovevano essere dati in elemosina.
A Santa Restituta la Compagnia possedeva un pezzo di terra, delle vigne e un uliveto posto nella contrada Rigagno.
In seguito entrò in possesso della vigna del Fornello.
Un' altra vigna era posta nella contrada di Pescaia mentre l' uliveto posto al Pietricaio, lasciato dalla moglie di ser Griffo di ser Paolo era di proprietà comune con la Confraternita della SS.ma Annunziata.
La vigna del Matrichese era dono di donna Francesca di Luca.
Nella zona dell' Acquabona era situato un castagneto formato da una presa di castagni selvatici e una di castagni domestici mentre nel poggio di Montecalbello, dietro alla chiesetta della Madonna del Piano, il possedimento era costituito da un' estesa e folta macchia di lecci ed altri boschi si trovavano sul poggio di Montosoli e ai piedi di esso.
In Val di Suga la Compagnia era proprietaria di altri campi, appezzamenti di terreno e prati.
Poi c' era la terra a Piombaia e alla Villa a Tolli e le vigne al Pecorile e a Porta Nuova, a Pian di Macina, al Canale e al Pisciolo.
Consistente era la proprietà costituita dal podere che fu di Tengoccio d' Enea di Siena posto nella zona di Abbadia Ardenga e Castiglione del Bosco.
Del Mulino della Suga o delle liti, la Compagnia era venuta in possesso poco a poco, attraverso lasciti o acquisti di varie parti di esso. Molti erano coloro che vantavano dei diritti sopra questa proprietà, tanto che scoppiavano continuamente delle zuffe.
Del Mulino del Fiore o dell' Asso si entrò in possesso nel 1437 quando Jacomo Vanni detto ''Giubbone'' lo cedette alla Compagnia avendo con la stessa un debito di 800 lire.
Su tutti questi beni gravava il vincolo della inalienabilità e della destinazione del ricavato in beneficenza.
Altre proprietà rurali non sottoposte invece ad alcun vincolo furono vendute come ad esempio un uliveto a Porta Castellana, due vigne al Canale , un' altra nella contrada del Vetro, una presa di terreno nel piano di Mocali : il ricavato veniva comunque dato in elemosina o serviva per far fronte a tutte le spese necessarie ad un sodalizio, compreso il restauro delle chiese e cappelle: nel 1365 si fece restaurare la Cappella della SS.ma Annunziata e nel 1373 si commissionò a Bartolo di Fredi, pittore senese, di dipingere una grande tavola per abbellirne l' altare.
Dal 1361 al 1371 la Compagnia godette anche i frutti di un podere posto nella contrada di S.Polo.
Dentro le mura cittadine le proprietà erano costituite da case e orti che venivano affittati o fatti lavorare direttamente dai fratelli; uno di questi era nel Terzo di Sant'Angelo in Castel Vecchio.
Nel Terzo di San Salvatore aveva ereditato due case e una cappella
Un'altra casa si affacciava sulla Piazza del Comune mentre un'altra era nel Terzo di Sant'Egidio.
Nel 1408 si aggiunse a queste un' altra e un orto situati in Sant' Angelo in Castel Vecchio.
Inoltre molte furono le persone che donarono tutto ciò che possedevano di beni mobili alla Compagnia, sia mentre erano in vita sia subito dopo la loro morte. Altre beneficiarono il sodalizio con somme di denaro di cui indicavano la destinazione.
Oltre quindi a tutti questi beni immobili e a proventi in denaro e frutti, la Compagnia si costituì anche un ricco patrimonio di beni mobili fra cui non mancarono i contenitori per il vino che proveniva dalle varie vigne: sono botti di varie misure, tini, tinelli e botticelle che venivano non solo prestate ai fratelli che ne avevano bisogno ma anche affittati per ricavarne altri proventi.
Fra le carte della Compagnia del periodo osservato, sono arrivati fino a noi circa trentasei contratti di cui ventisei riguardano i beni rustici, una soccida e una vendita di bestiame, e otto si riferiscono alle proprietà situate in città. Si tratta in massima parte di atti che attestano l' affitto di terre dietro pagamento di un censo che nella maggior parte dei casi avveniva in natura; un contratto soltanto fra quelli riguardanti i beni rurali parla di censo in denaro e si riferisce alla terra del Matrichese. I tributi erano composti da grano, olio, vino, fichi ed altri frutti che dovevano essere consegnati direttamente a spese dell' affittuario nei magazzini della Compagnia. Al momento della stipula del contratto la Compagnia interveniva in aiuto dell' affittuario, per far fronte alle prime necessità, prestando denaro, attrezzi e semi, ad esempio il seme di grano. I prestiti dovevano essere restituiti senza naturalmente alcun interesse.
Per le operazioni di vendita o di acquisto di beni vigevano delle norme ben precise, stabilite dallo Statuto: nessuno ad esempio poteva o doveva vendere, comprare o far comprare ad altri fratelli alcun possedimento o altre cose dei beni della Compagnia che avessero un valore superiore a 20 soldi a pena di essere cacciato e di pagare altrettanti soldi di multa. Solo il procuratore e gli ufficiali eletti appositamente potevano vendere le possessioni, le masserizie e gli altri frutti. Ogni volta che si effettuava una vendita si dovevano recitare preghiere per l' amore di Dio e in suffragio dell' anima di colui che aveva lasciato quel possedimento alla compagnia.
Dalle terre coltivate direttamente dai confratelli per conto del sodalizio si ricavavano grano, fave, ceci, cicerchie, orzo, aglio, lino, olio e vino bianco, rosso e acquato: prodotti che venivano poi distribuiti ai poveri o erano venduti per acquistare la cera, la carne per i Frati di San Francesco e per fare elemosine.
Con l' aumentare dei lasciti e del numero dei soci crescevano anche le somme da dare in beneficenza, rispondendo così alla finalità propria della Compagnia che era quella caritativa. Le elemosine venivano distribuite ai fratelli in qualsiasi momento essi ne avessero fatto richiesta al priore, ma in occasione di feste particolari esse venivano allargate ad altri strati della popolazione, comprese le fanciulle che dovevano maritarsi: ad esse elargivano non solo delle somme di denaro ma anche pezze di panno e tovaglie che concorrevano ad aumentare la loro dote. Delle spese sostenute per le sepolture non si ha alcuna notizia nei libri dei conti ma lo Statuto ci parla di un libro del Camerlengo che serviva proprio a questo scopo e che riteniamo sia purtroppo andato perduto durante il trasporto in altra sede dell' archivio della Compagnia, dopo che essa venne soppressa il 1° maggio del 1785 insieme ad altri conventi e sodalizi della città.
 
LA CHIESA ALLA DATA DELL' ACQUISTO

La Chiesa di San Pietro fu acquistata dal quartiere Pianello con atto Rogito Notaio Sannino in data 9 febbraio 2002, Repertorio 1168, comprendente oltre al luogo di culto i due piani della sagrestia, dove , in funzione di un comodato gratuito, il quartiere Pianello aveva da oltre quaranta anni la propria sede nel piano superiore. Con la recente ristrutturazione, utilizzando lo spazio a pian terreno, la superficie della sede è notevolmente aumentata migliorando sensibilmente l' attività che vi viene svolta.
Mentre la parte utilizzata dal Quartiere è in buono stato manutentivo in virtù dei lavori svolti, ad eccezione della gronda ed alcune finiture, i locali adibiti al culto erano oggetto di una preoccupante situazione dovuta ad una totale mancanza di manutenzione che si è protratta per decenni, tanto da dover intervenire attraverso una ristrutturazione radicale.
Particolarmente preoccupante era lo stato del tetto; questo è un classico tetto a capanna, disposto su due livelli: il tetto a livello inferiore, più piccolo, è a copertura dell' altare maggiore; il tetto a copertura dell' ex sagrestia notevolmente più basso di quello della chiesa, è invece a padiglione.
La struttura portante è composta di travi in legno poste parallelamente al lato più lungo del fabbricato che poggiano sugli archi; i travicelli seguono l' andamento delle falde.
Il tipo di orditura del tetto, si è potuta accertare attraverso una stretta apertura posta sopra il tetto più basso, a copertura dell' altare maggiore; dal sopralluogo si è avuto la conferma sullo stato di precarietà del tetto, solo ipotizzabile dall' esterno, verificando che gli avvallamenti innaturali delle coperture sono dovuti a cedimenti di travi portanti e rottura di alcuni correnti.
Sopra i travicelli sono poste le zane che sorreggono il manto di copertura ''coppo-coppo'' .
Lo stato del tetto comporta che ad ogni minima pioggia, le infiltrazioni di acqua piovana vanno ad interessare le strutture portanti lignee, oltre ad indebolire in maniera preoccupante la volta.
L' infiltrazione della pioggia, è andata ad aumentare la già consistente umidità capillare che velocemente e inesorabilmente, stava risalendo lungo le pareti. Il aveva già interessando pesantemente gli altari laterali e lo stesso altare maggiore, innescando un processo chimico che porta disintegrazione delle parti in gesso di cui buona parte di queste strutture è composto.
L' umidità è dovuta al fatto che la chiesa è per oltre due lati seminterrata e avendo poca circolazione d' aria, l' umido si spande facilmente.
Inoltre a seguito di ricerche, è risultato che alla fine degli anni 40 una la scalinata centrale venne abbattuta per dare il passo agli autocarri che trasportano olive per la molitura all' immobile della piazzetta. Purtroppo le testimonianze dell' esistenza di questa scala sono solo alcune foto, mentre presso l' Archivio della Curia Vescovile di Montalcino nei tre falconi che riguardano l Chiesa di S. Pietro, non si è trovato nulla.
 
GLI INTERVENTI EFFETTUATI

Il contratto preliminare di compravendita in data 1 ottobre 1999, firmato fra il Presidente del Quartiere Pianello e l' Ordinario Diocesano Mons. Lorenzo Bozzi per l' acquisto di tutto il complesso relativo alla Chiesa di S.Pietro, prevedeva anche la possibilità di realizzare lavori prima del contratto definitivo in quanto, essendo la chiesa soggetta a vincolo paesistico ai sensi della ex L1089/39, si prevedevano tempi lunghi per la stipula finale.
Il complesso, in fase di degrado, in particolare per i locali della ex sagrestia e del tetto, doveva essere soggetto ad interventi abbastanza consistenti, sia dal punto di vista edilizio, sia soprattutto dal punto di vista economico.
Non avendo il Quartiere somme tali da permettersi un intervento così importante, decise di realizzare l' intervento stesso in due stralci:
Il primo consistente nel recupero del piano terra della ex sagrestia e del piano superiore.
Il secondo relativo al recupero e ristrutturazione del tetto, degli altari e delle opere d' arte qui contenute.
Per quanto attiene il primo stralcio dei lavori, in data 19 marzo 2001, venne rilasciata l' autorizzazione per l' esecuzione di opere edili consistenti nella ristrutturazione della chiesa parrocchiale a nome di don Guido Franceschelli, dopo che la Soprintendenza ai Monumenti di Siena, aveva espresso parere favorevole sul progetto in data 8 agosto 2000.
I lavori ebbero inizio in data 21 marzo 2001 come dichiarato dal direttore dei lavori.
In data 26 giugno 2001 il quartiere Pianello, richiese la voltura della autorizzazione edilizia, da Don Guido Franceschelli a Quartiere Pianello.
L' autorizzazione alla voltura venne rilasciata in data 28 giugno 2001.
I lavori vennero terminati in data in data 27 luglio 2001 come da dichiarazione del direttore dei lavori, ed ebbero per oggetto la sistemazione funzionale della sagrestia e dei locali a piano primo, da tempo utilizzati dal quartiere per la sede propria.
Al piano terra, sono stati realizzati nuovi servizi igienici per portatori di handicap, mentre, vista la notevole altezza del locale venne realizzato a mezze scale un ballatoio.
Al piano primo, nella sede storica del quartiere venne ricavato un locale per riunioni.
L' importo complessivo dei lavori si è aggirato intorno ai 200 milioni delle vecchie lire anche se la quantificazione dimostrata è inferiore in quanto gran parte dei lavori, soprattutto di manovalanza è stata prestata dai soci del Quartiere gratuitamente in giornate festive o extra impegni lavorativi.
Il secondo stralcio, parzialmente effettuato, ha interessato il tetto , le volte, gli intonaci interni e l' altare maggiore.
I lavori iniziarono nel giugno dello scorso anno, hanno fatto si che il problema più grave che interessava la struttura, sia stato eliminato. Infatti con lo smontaggio completo del tetto e la sostituzione di travi e correnti ammalorati, oltre al posizionamento di pannelli in vetro soffiato con soprastante manto in tegole e coppi, ha fatto si che l' infiltrazione di acqua piovana sia stata del tutto eliminata. Successivamente si è provveduto al rifacimento di tutti gli intonaci interni, provvedendo prima di iniziare la demolizione, a fare dei saggi per verificare l' esistenza di affreschi sotto le pitture. L' esito negativo ha dato il via libera alla ricostruzione con rinforzamento, attraverso fibre di carbonio, degli archi di volta.
Sono stati rifatti tutti gli intonaci delle pareti e della volta con materiale antiumido e antimuffa, oltre alla pittura con un colore simile quello originale della chiesa, ritrovato sotto i vari strati di colore.
Ma l' intervento più importante come recupero, è stato quello che ha interessato l' altare maggiore.
Compromesso in maniera pesante dall' umidità di cui la chiesa ha da secoli sofferto, questa bella struttura del XVII° secolo è stata riportata agli antichi splendori attraverso un restauro conservativo di prima qualità.
Le pareti in marmo sono state smontate pezzo per pezzo, ripulite da incrostazioni e macchie dovute al grasso delle candele, rimontate con sostituzione degli ancoraggi. Le figure decorative soprastanti il frontone, sono state ripulite ad una ad una con bisturi e riportate ai colori naturali.
Oggi l' altare maggiore è ritornato ad essere un elemento di grande rilievo architettonico e può certamente essere annoverato tra gli altari più belli, se non il più bello delle chiese di Montalcino.
E' stata inoltre ristrutturata la cella campanaria e le due campane in bronzo, una del XVII° e l' altra del XIX ° secolo sono state restaurate dalla Ditta Salvioli di Firenze, e ricollocate successivamente nella propria cella.
E' stato rifatto totalmente l' impianto elettrico, secondo le norme tecniche più recenti, con progetto preventivo.
Sono stati inoltre recuperati i due altari laterali in gesso, interessati dal fenomeno della ''carbonatazione'' dovuta all' umidità di risalita di cui ha sempre sofferto la chiesa.
Gli altari laterali in gesso, sono quelli che più di ogni altro elemento, hanno sofferto per l' umidità. Già nel 1865 in un manoscritto del parroco Petrini, si parla del rifacimento di uno di questi proprio per le pessime condizioni derivate dall' umido.
Il gesso infatti per un processo chimico conosciuto tecnicamente come ''carbonatazione'' , si è polverizzato incidendo in maniera pesante sulle colonnette a sostegno degli altari stessi
I due altari, contenenti le grandi tele del Ventura Salimbeni di cui parleremo successivamente, ''Spoliazione e messa in croce di Gesù'' e ''L' esaltazione dell' Eucarestia'' vennero ulteriormente rovinati per togliere le tele in quanto queste, provenienti rispettivamente da Santa Croce e dal Corpus Domine, vi erano state incastrate
Sotto l' altare laterale situato dalla parte dell' ingresso della porta secondaria, è stata trovata una data MLCCII
E' stata poi rifatta la vecchia scalinata a tre rampe che era stata ''amputata'' della rampa centrale per permettere l' accesso dei carri con le olive all' impianto di molitura esistente sino al 1985, con la realizzazione di un muretto di protezione delle scalinate laterali e del sagrato che spezzava la semplice ma snella facciata della chiesa.
L' intervento avvenne probabilmente alla fine degli anni 40. Purtroppo anche nell' archivio comunale e della curia vescovile, non è stata reperita alcuna documentazione né tantomeno progetti.
La scalinata venne realizzata ritrovando vecchie foto di matrimonio da cui è stato possibile ricavare interessanti notizie da testimonianze di persone anziane.
 
ALTRI INTERVENTI DI RESTAURO
 
Dopo le opere murarie, il Quartiere, grazie ai contributi offerti da molte parti del mondo, ha ritenuto opportuno intervenire sull' organo Agati, sulle tele del Salimbeni e sulla cantoria.
Per quanto riguarda il restauro dell' organo, delle tele e della cantoria, omettiamo le modalità di intervento che sono appannaggio solamente degli addetti ai lavori, mentre diamo qualche descrizione come informazione.

ORGANO AGATI

Dell' organo originale rimane la monumentale cassa cinque-seicentesca collocata in cantoria sopra il portone d' ingresso. La facciata di tale strumento era divisa in 5 campate, le maggiori al centro e con organetti morti alle esterne. Esso fu completamente ricostruito nel 1855 dai pistoiesi Luigi (II) e Cesare Tronci. Restaurato nel 1885 da Ulisse Paoli e sottoposto ad altri interventi negli anni Venti e Trenta del XX secolo, questo organo fu demolito dopo la seconda guerra mondiale: ne rimangono solo il somiere maestro a vento, il somiere di basseria, il crivello, la tavola di riduzione, molte canne di legno ed alcune piccole di metallo.
Nel basamento della cassa dell' organo originale è stato inserito nel Dopoguerra un organo positivo costruito nel 1858 dall' altro grande organaro pistoiese Nicomede Agati, proveniente, stando a comunicazioni orali, dalla chiesa di S. Francesco, ove a sua volta sarebbe giunto dalla chiesa di S. Agostino. La singolare configurazione attuale è dunque caratterizzata da una doppia cassa: uno strumento di piccole dimensioni inserito all' interno di ciò che rimane di uno strumento più antico. La descrizione che segue riguarda quindi l' organo positivo di Nicomede Agati, in quanto ancora in accettabili condizioni di integrità e di efficienza.
L' organo è stato perfettamente restaurato e posizionato a terra alla destra dell' altare maggiore perché nella posizione precedente,le canne andavano ad infialarsi sotto la cassaforma dell' organo più antico, alterandone il suono.
Per gli appassionati di questi strumenti, si riportano i dati tecnici:

Organo di Nicomede Agati, 1858. No d' opus 459.
Facciata ad una sola campata disposta a cuspide con ali laterali, di 25 canne (5+15+5 canne) originali, con disegno delle bocche contrario alla cuspide e alle ali e labbro superiore a mitria. Canna maggiore: Mi2 del Principale.
Manuale di 50 tasti (Do1-Fa5), con prima ottava corta. Organo 'ottavino' : i tasti della prima ottava richiamano i corrispondenti tasti della seconda ottava. Leve dei tasti in castagno; tasti diatonici ricoperti in bosso, cromatici in ebano.
Pedaliera a leggio, corta, 8 tasti (Do1-Si1) più 2 tasti accessori sullo stesso telaio ma notevolmente spostati a destra, comandanti rispettivamente il Timpano e l' Usignolo.
Registri comandati da pomelli a tiro disposti su una colonna a destra del manuale:
Principale Basso [8 ' ; Do1-Si1 sempre inserito]
Principale Soprano
Ottava
Decima Va
Vigesima IIa
Flauto in VIIIa
Voce Angelica [8 ' soprani]
Divisione B/S ai tasti Fa3 e Fa#3. Essendo organo 'ottavino' , i registri partono da Do2 tranne la prima ottava sempre inserita del Principale. Ritornelli: XV Do5; XIX Si3; XXII Fa#3,4. 
Effetti: Usignoli [4 canne di piombo] e Timpano [2 canne aperte dell' ordine di 4'].
Accessori: Tirapieno [aziona dall ' Ottava].
Somiere maestro a tiro.
Sul listello di coda della tastiera e sul fondo della secreta, due cartigli identici, a stampa con integrazioni a ma
N. 459.
NICOMEDES AGATI, ET FRATRES
PISTORIENSES CONSTRUEBANT
A.D. MDCCCLVIII

LA TELE DI VENTURA SALIMBENI

Consegna delle chiavi a San Pietro
San Matteo nel suo Vangelo recita: ''Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa (..) A te darò le chiavi del regno dei cieli. ''Questa frase usata da Gesù, fu riproposta moltissimo in pittura, e soprattutto dagli artisti del Rinascimento. San Pietro viene raffigurato genuflesso davanti a Cristo, circondato dagli altri discepoli, e riceve da lui le chiavi.L' opera, che celebra la figura di San Pietro, si trova ovviamente sull' altare Maggiore della Chiesa intitolata al Santo, ed a anch' essa ambientata all' interno di una cornice architettonica assai raffinata, costituita da due colonne marmoree con capitelli in stile corinzio, che sorreggono un timpano con volute e decorazioni scultoree.La scena proposta nel dipinto vede al centro della scena due gruppi di persone, quello sulla destra che ha il suo fulcro nell' immagine di San Pietro inginocchiato, l' altro, quello sulla sinistra culmina nella figura di Cristo. Alle spalle dei due gruppi a rappresentato un paesaggio con alcune strutture architettoniche tra le quali possiamo intravedere una torre.Stilisticamente, possiamo apprezzare una gamma cromatica adottata dall' artistica particolarmente vivace, giocata su toni di rosso e di rosa. Le figure appaiono abbastanza massicce, le vesti, molto abbondanti, propongono dei giochi di panneggio abbastanza complessi, articolati, tipicamente di gusto manierista.

Spoliazione e messa in croce di Gesù
Nell' altro altare laterale della Chiesa e nella fattispecie quello situato di fronte a quello del dipinto dei Salimbeni, troviamo un' altra tela, incorniciata anch' essa da una struttura pressoché identica a quella del Trionfo dell' Eucaristia.In questo caso ci troviamo di fronte ad una Crocifissione di Cristo; in verità la scena qui proposta rappresenta il momento antecedente alla Crocifissione vera e propria ovvero quello in cui Cristo viene preso dai generali romani per essere inchiodato sulla croce.La rappresentazione sembra riproporre pure l' episodio, tratto dal racconto del Vangelo di Giovanni, secondo il quale i soldati, dopo aver denudato Gesù ed averlo crocifisso, presero le sue vesti e se le contesero, tirando a sorte.Il Cristo a rappresentato nel momento in cui volge il suo sguardo al cielo e sembra invocare il Padre, la sua pietà verso gli uomini. Dall' alto dei cieli un gruppo di angeli assiste alla scena.

Esaltazione ell' Eucarestia
Eucaristia (Sacramento che, secondo la dottrina cattolica, sotto la specie o apparenze del pane o del vino contiene in verità, realmente e sostanzialmente il corpo, il sangue, l' anima e la divinità di Gesù Cristo; nel periodo della Controriforma, la rappresentazione dei sacramenti tornò ad essere di grande attualità, per reazione al protestantesimo che rinnego la validità di alcuni di essi ed in particolare si scosto dalla dottrina cattolica nell' interpretazione dell' eucaristia). Dunque un dipinto del genere può avere, essendo in epoca di controriforma, il senso del Trionfo di Cristo sul mondo che si concretizza attraverso il sacramento dell' eucaristia e che pertanto rinnega la Posizione dei riformisti in tal senso (in alcuni casi ''rinnegarono'' alcuni sacramenti, in altri cambiarono loro il senso e ne dettero altre interpretazioni in disaccordo con quelle della Chiesa ''ortodossa'), celebra la Chiesa ed i suoi concetti e precetti tradizionali.Appena entriamo in San Pietro, subito sulla destra, sopra l' altare laterale, all' interno di una cornice architettonica particolarmente sfarzosa sorretta da due colonne in finto marmo, troviamo la prima grande pala d' altare che si conserva all' interno della chiesa.Si tratta di un grande dipinto attribuito al pittore Ventura Salimbeni raffigurante ''Il Trionfo dell' Eucaristia'' .L' opera raffigura in primo piano i quattro grandi Dottori della Chiesa d' Occidente: sulla destra Sant ' Ambrogio, Vescovo di Milano e Sant' Agostino, teologo e Vescovo di Ippona; sulla sinistra San Girolamo, vestito in rosso accompagnato dall ' immancabile leone, e San Gregorio Magno raffigurato con il suo simbolo canonico ovvero la colomba, simbolo dello Spirito Santo, in atto di accostarglisi all' orecchio, a significare l' ispirazione divina dei suoi scritti. Tutte e quattro le figure sono rappresentate nella loro veste di eruditi teologi ovvero in atto di scrivere, ispirarsi oppure accompagnati dai loro testi sacri. Alle loro spalle si intravedono altre figure maschili tra le quali una che veste in abiti vescovili (sulla sinistra) ed un' altra con abiti rossi cardinalizi (sulla destra).Tutti sembrano impegnati a riflettere, dissertare e confrontarsi tra loro.Al centro della scena troviamo rappresentato il fulcro della scena e dell' opera stessa, ossia un ostensorio coperto da un leggero velo trasparente che sorregge l' ostia consacrata, la quale emana un sacro bagliore.Al di sopra della terra, delle nuvole, di tutto troviamo la rappresentazione della Santissima Trinità e dunque Dio Padre, raffigurato come un vecchio patriarca dalla folta e fluente barba bianca, il Figlio ossia Cristo risorto che reca ancora le ferite al costato causate dalla Crocifissione, e lo Spirito Santo, simboleggiato dalla colomba, che al centro si libra sopra le due figure.

LA CANTORIA

La cantoria lignea soprastante la porta dell' ingresso principale, si sa con certezza che proviene dalla Chiesa di Sant' Agostino, come dimostra anche l' effige del santo che vi è raffigurata, anche se non si ha notizia di quando questa venne trasferita, è ornata da foglie dorate e strumenti musicali in rilievo
La cantoria ha una balaustra con soprastante la cassa armonica di mr di 8 metri di lunghezza per 1,26 mt d' altezza di cui abbiamo già parlato.
E' evidente la trasformazione che la cantoria ebbe durante il suo trasferimento da Sant' Agostino a San Pietro infatti le pannellature laterali iscrivono alcuni strumenti musicali con una decorazione a porporina anziché ad oro zecchino e il legname è in abete anziché il locale gattice.
 
I lavori alla chiesa di S. Pietro sono terminati; sotto la cantoria fanno bella mostra due grandi teche in vetro e legno contenenti i nuovi e i vecchi costumi del Quartiere che vengono utilizzati per le nostre feste. I lavori vennero inaugurati il 29 settembre 2009 davanti ad un gran numero di persone e autorità. Oggi San Pietro è tornata a splendere divenendo una delle più belle chiese di Montalcino


Quartiere Pianello